Un libro che fa male, una ferita ancora aperta
“È un libro devastante. Una sofferenza”. Così si è aperto il nostro ultimo incontro del book club di neu [nòi], dedicato alla lettura di Paolo Borsellino. Per amore della verità di Piero Melati. Una sofferenza che non nasce da un’invenzione narrativa, ma da un dolore reale, collettivo, ancora vivo. Più che un’analisi letteraria, è stato un confronto emotivo, generazionale, civile. Un dialogo che ha riportato alla luce ricordi personali, disillusioni, rabbia e domande ancora aperte.
Il libro ha toccato corde profonde, soprattutto in chi a Palermo c’era, ma anche in chi viveva altrove o non aveva ancora l’età per vivere quei fatti. È stato detto più volte: questa non è solo la storia di un magistrato ucciso dalla mafia, è la storia della città, è la nostra storia. “È come se fosse successa a me”, ha detto una persona, con la voce rotta. Per molti, leggere questo libro ha significato riaprire una ferita che sembrava cicatrizzata solo in apparenza.
C’eravamo anche noi: la memoria che non passa
Chi ha vissuto quei mesi in età adulta ha condiviso un senso di impotenza che ancora oggi pesa. La conferenza alla Biblioteca Comunale, quella in cui Borsellino sembrava salutare la città in anticipo, è tornata nei ricordi con un dolore lucido. “Lo sapevamo tutti che sarebbe successo, ed è come se non avessimo fatto niente”, ha detto una voce con amarezza. Un silenzio ha attraversato la stanza. Un altro intervento ha ricordato come la televisione avesse restituito una Palermo in guerra: i funerali di Stato, i cortei, la rabbia. Ma anche il senso che qualcosa si stesse perdendo per sempre.
Per chi era bambinə allora, il ricordo è fatto di immagini sfocate ma incancellabili. Una madre che piange davanti al TG, una domanda ingenua, una risposta che ancora oggi fa male: “È morto un uomo buono”.
Lo Stato contro lo Stato: il mistero dei depistaggi
Il libro ci sbatte in faccia una delle verità più amare: la lotta di Borsellino non era solo contro la mafia, ma anche contro pezzi dello Stato. Il mistero dell’agenda rossa, scomparsa dalla sua borsa insanguinata, è il simbolo di un depistaggio sistematico che tormenta la famiglia e il Paese da oltre trent’anni. Durante il dibattito è emerso lo sconcerto per i dettagli più inquietanti: i tentativi di pilotare le testimonianze dei familiari subito dopo la strage, le impronte digitali prese alla figlia sull’agenda, le carriere di funzionari coinvolti che sono proseguite indisturbate, fino a collegarsi ad altre pagine oscure della storia italiana come i fatti del G8 di Genova. Si delinea l’immagine di un “disastro investigativo” che, come ha notato qualcuno, sembra essere un tratto culturale ricorrente, dove l’incompetenza si mescola alla volontà di insabbiare per “non fare figure di merda”, distruggendo la verità e la vita delle persone.
Una tragedia nazionale, non un “problema siciliano”
Chi non viveva a Palermo ha raccontato di aver percepito l’attentato come un fatto grave ma distante, parte di un “problema siciliano”, spesso trattato con superficialità o paternalismo dai media del Nord. Ma questo libro – lo si è detto più volte – ha avuto la forza di ribaltare quella distanza. “Nessun altro testo mi aveva mai coinvolto così tanto”, ha raccontato un partecipante. “Leggendolo, ho sentito il bisogno fisico di abbracciare Fiammetta Borsellino”.
È emersa una connessione profonda non solo con la figura del magistrato, ma soprattutto con le persone sopravvissute: i figli, la moglie, i familiari lasciati soli in trent’anni di depistaggi e mancate verità.
Un libro sulla famiglia, prima di tutto
Molti degli interventi hanno evidenziato come il vero cuore del libro non sia solo Paolo Borsellino, ma la sua famiglia. I tre figli – Lucia, Manfredi e Fiammetta – attraversano tutto il testo con le loro voci, i loro ricordi, le loro lotte. Sono loro a restituire un ritratto intimo, quotidiano, disarmato del padre. E sono loro, ancora oggi, a chiedere verità. “È un libro sulla solitudine dei vivi, più che sulla morte di un eroe”, ha detto una persona. In trent’anni, ha ricordato un passaggio del libro, nessuna figura istituzionale ha chiesto scusa alla famiglia. Solo un mafioso l’ha fatto. È un dato che ha lasciato un silenzio pesante nel gruppo.
Paparcuri e l’antimafia che c’era
Tra le pagine più forti del libro ci sono le testimonianze di chi era accanto a Borsellino ogni giorno. Spicca quella di Angelo Corbo, agente della scorta, e soprattutto quella di Giuseppe Paparcuri, autista e sopravvissuto alla strage Chinnici. La sua figura, raccontata con grande sensibilità da Melati, è diventata per noi emblema di un’antimafia silenziosa e concreta. “Io non ho mai smesso di lavorare per loro due, per Falcone e Borsellino”, ha detto Paparcuri. Una frase che, riletta insieme, ci ha commossi profondamente.
La relazione tra Paparcuri e Falcone emerge come un legame quasi familiare, tenero, fatto di fiducia, stima, cura reciproca. In un contesto segnato da isolamento e sospetti, questa umanità ha scosso tuttə noi. È anche da queste figure minori, spesso dimenticate, che si comprende cosa fosse davvero l’antimafia di quegli anni.
Non chiamateli eroi
Uno dei fili rossi del confronto è stato il rifiuto della retorica degli “eroi”. Borsellino e Falcone vengono spesso santificati, ma questo libro li restituisce come uomini pieni di rigore, sì, ma anche di normalità. Borsellino che si arrabbia, che ride, che si prende cura degli altri, che scrive un biglietto al figlio per il suo compleanno, e poi va a indagare. “Non è un santo, non è un monumento”, ha detto una persona, “è un uomo che ha scelto di essere coerente”.
Molti hanno sottolineato come questa normalità, fatta di etica concreta, sia oggi forse il messaggio più radicale.
Borsellino che si rende disponibile a testimoniare a favore un mafioso che sa di essere innocente per le accuse di quel processo. Borsellino che rifiuta scorciatoie. Borsellino che crede nella giustizia, non nel tifo. Un esempio altissimo, eppure umano.
Oggi? La lezione dimenticata
Quasi in chiusura la conversazione si è spostata sul presente. La sensazione condivisa è che la società attuale sia diventata più distratta, più cinica, più spettacolare. “Mentre facciamo il tifo da una parte o dall’altra, qualcuno maneggia”, è stato detto. La lezione di rigore, silenzio, ascolto e coraggio di Borsellino sembra oggi un’eco lontana, sepolta sotto le commemorazioni ufficiali e le polemiche social. Eppure è ancora lì, possibile, necessaria.
E domani? Custodire la memoria, praticare la verità
Il nostro incontro si è chiuso con una domanda semplice e bruciante: perché un libro così non è più conosciuto? Perché un testo che parla con così tanta onestà, senza retorica e senza filtri, di una delle figure più importanti della storia italiana recente, non ha avuto maggiore risonanza? La risposta non è chiara, ma riguarda certamente la fatica collettiva di affrontare le zone d’ombra, i compromessi, le solitudini scomode. Questo libro non rassicura, non semplifica, non celebra: e forse è proprio per questo che va letto.
Cosa potremmo fare noi, oggi, per onorare davvero l’esempio di chi ha scelto la verità, la coerenza, il servizio alla comunità?. Non con le parole, ma con i gesti. Cosa possiamo fare, nel nostro piccolo, per non delegare sempre ad altre persone la responsabilità di lottare contro l’ingiustizia, l’indifferenza, l’ipocrisia delle istituzioni?
Forse la risposta sta proprio nel modo in cui scegliamo di raccontare storie come questa. Nella scelta di leggerle, condividerle, discuterle, restituendo spessore umano a figure che troppo spesso diventano simboli muti. Forse il futuro comincia da qui: da una memoria che non si accontenta della celebrazione, e da un impegno quotidiano, silenzioso, ma tenace.
Opere e autori citati
- Libri:
- Non chiamateli eroi di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso
- I 1000 morti di Palermo di Antonio Calabrò
- Il piccolo libro della legalità di Geronimo Stilton, che contiene una lettera ai bambini di Manfredi Borsellino
- Dalla parte sbagliata. La morte di Paolo Borsellino e i depistaggi di Via D’Amelio di Rosalba Di Gregorio e Dina Lauricella
- Il contesto di Leonardo Sciacia
- Organizzazioni e movimenti:
- Il giornale L’Ora di Palermo, fucina del giornalismo antimafia.
- Addio Pizzo, movimento nato per contrastare il racket delle estorsioni.
- Figure:
- Libero Grassi, imprenditore ucciso dalla mafia per essersi rifiutato di pagare il pizzo.
- Nicola Gratteri, magistrato in prima linea nella lotta alla ‘ndrangheta.
Note del modello di redazione
Questo report è stato generato da un modello di intelligenza artificiale a partire da una trascrizione automatica dell’incontro del book club registrato. L’audio è stato trascritto automaticamente, e successivamente il report è stato generato utilizzando i dati della trascrizione. Il report è stato in seguito condiviso, per la revisione finale, con le persone presenti all’incontro e poi pubblicato sul blog dell’associazione neu [nòi] – spazio al lavoro.