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La partecipazione apparente

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Il tema della partecipazione della cittadinanza alla gestione di un territorio è sempre più discusso e le ultime elezioni regionali siciliane hanno sicuramente messo in evidenza due aspetti ad essa connessi:

1)      La scarsissima partecipazione (meno del 50%) del popolo siciliano alla selezione della classe dirigente regionale: l’assenteismo registrato alla urne potrebbe essere interpretato come un gesto di ripicca. Permettetemi di semplificare il concetto: se la politica non rende partecipe la cittadinanza, la cittadinanza semplicemente smette di partecipare, fino a rinunciare al sacrosanto diritto/dovere del voto

2)      L’ascesa al ruolo di primo partito dell’isola del neonato Movimento 5 Stelle il quale vanta come uno dei principali punti di forza proprio l’aver considerato la partecipazione come una delle colonne portanti del fare politica

Il perché la politica sia restia all’allargamento delle maglie del proprio potere decisionale per far spazio al volere della società civile apre la strada a mille risposte, qualcuna molto vera, qualcuna meno, tutte probabilmente concausa del problema. Ma non è su questo aspetto che mi interessa soffermarmi, quanto piuttosto su cosa impedisce una reale partecipazione laddove la politica sceglie di operare una virata verso il volere della collettività.

La nuova amministrazione comunale di Palermo, a sentir loro da poco insediatasi (raccolgo la provocazione di Michelangelo Pavia che chiede di sapere se ci sarà un giorno in cui questo pocopotrà dirsi superato), ha in effetti lodevolmente dimostrato interesse verso processi partecipativi propriamente detti. Ma oggi scrivo per sfatare un mito fin troppo diffuso e dichiarare con forza che rendere pubblico un progetto (o disegno di progetto) comunale ed invitare la cittadinanza a fare osservazioni NON E’ PARTECIPAZIONE. Potremmo chiamarla più che altro Partecipazione Apparente. I primi mesi della nuova amministrazione è piena di questi esempi.

E’ così che il Dott. Davide Bazzini, sociologo ed esperto di politiche di adattamento in ambito cittadino, definisce gradino più basso sulla scala della partecipazione. Ma non la ritiene inutile in termini assoluti aggiungendo che si tratta di “processi che attribuiscono un ruolo del tutto passivo alla cittadinanza,  finalizzati esclusivamente a far accettare e ad ottenere il consenso per scelte politiche e progetti già deliberati dall’Amministrazione” (1).

Quindi riconosce loro un ruolo di divulgazione dei piani dell’amministrazione ma non molto di più. La scala della partecipazione prevede chiaramente livelli più sofisticati ed efficaci come la consultazione/concertazione ed la partecipazione attiva/empowerment. Il dubbio che mi viene è che un’amministrazione comunale ben disposta ad attuare processi partecipativi, di fatto abbia l’unica pecca di disconoscere la materia.

(1): http://www.pongasminambiente.it/index.php?option=com_jdownloads&Itemid=280&view=finish&cid=389&catid=96